sabato 31 dicembre 2016

BILANCIO PROFESSIONALE DI FINE ANNO

Confronto ai tempi in cui ogni mese spedivo in edicola dalle 94 alle 188 pagine firmate o supervisionate da me, questo (come i precedenti, d'altronde) è stato un anno abbastanza "sottotono": tre volumi in libreria (ma due sono ristampe) e la serie di Agenzia Incantesimi su Tapastic.
Beh, se siete miei fan, almeno vi sto facendo risparmiare!

In libreria (ma più facilmente su rete) potete trovare la mia intera produzione caretacea di quest'anno! Vi servirà giusto un lanternino, probabilmente!
E' chiaro che il percorso artistico che ho seguito negli ultimi anni ha portato il fumetto a non essere più la mia principale fonte di sostentamento. Più che una scelta consapevole si è trattato di un evolversi degli eventi, a volte determinati dalle mie decisioni, altre da quelle di altre persone.
Sia come sia, la situazione è al momento questa e ha i suoi pregi e i suoi difetti, come tutto. Solo che se i difetti sono meramente economici, fra i pregi posso metterci il fatto che sto facendo qualcosa che ancora mi piace e mi diverte. Forse proprio perché più centellinato e, soprattutto, meno legato al profitto. La trilogia di volumi di Jonathan Steele edita da Kappalab è stata scritta (e disegnata) in completa libertà e serenità, così come gli episodi di Agenzia Incantesimi. E dopo tanti anni passati a "macinare tavole", ogni tanto occorre rallentare un po'.

Come sempre, quel che viene pubblicato è solo la punta dell'iceberg rispetto a quanto ancora giace (NON abbandonato) nel famigerato cassetto dei progetti a cui ho comunque continuato a lavorare. Se qualcuno di questi troverà spazio nel catalogo di qualche editore nei prossimi mesi o anni, non posso ancora dirlo. Non perché non voglia, ma perché proprio non lo so! Non viviamo un momento editoriale felice: la maggior parte delle opere che trovate in libreria viene pubblicata grazie al fatto di compensare gli autori con fantomatiche royalties sulle vendite e se io posso accettare di ideare e scrivere storie senza sapere se ne ricaverò un guadagno (decente), non posso imporre la stessa scelta ai vari disegnatori, i quali -se proprio devono- preferiscono giustamente farla per quanto riguarda i loro progetti.

Progetti, progetti, sempre progetti... Se son rose...
Al momento, di certo, c'è solamente la prosecuzione di Agenzia Incantesimi, sia grazie al materiale già esistente che alle nuove storie che alcuni generosi artisti stanno illustrando. E il fatto che, purtroppo, nessuno dei progetti a cui sto lavorando reca anche la firma di Giacomo Pueroni.
Per il resto, staremo a vedere.
Intanto un buon 2017 a tutti.


martedì 20 dicembre 2016

TUTTO SI TRASFORMA

Chiunque svolga un lavoro creativo sa benissimo che ogni sua creazione, anche quella che magari lui stesso reputi più originale, in realtà è frutto delle esperienze vissute in passato. Tutto quello che abbiamo visto, letto, ascoltato e, soprattutto,provato, viene frullato dalla nostra mente per plasmare e partorire le nostre creazioni.
In questo processo rimangono ben poche tracce di quel che ci è piaciuto o ci ha colpiti quando eravamo bambini, mentre sono ben più potenti e radicate le sensazioni e le emozioni che abbiamo provato durante la fase adolescenziale e dintorni. Sono quelli gli stimoli che formeranno i nostri gusti anche da adulti e che, nel caso di chi scrive, influenzeranno inevitabilmente le nostre creazioni.
Quando inventiamo un personaggio o un'ambientazione, tutta una serie di scelte razionali o funzionali alla storia che vogliamo raccontare vanno infatti a innestarsi su di un substrato inconscio formato dai nostri ricordi e dai nostri gusti. Al momento della creazione è difficile riconoscere e identificare questo substrato, è molto più facile farlo a posteriori, spesso anche a distanza di anni, a mente fredda.

Ho fatto questo "lavoro" per quel che riguarda i tre protagonisti di Jonathan Steele, individuandone le fonti principali, sia visive che caratteriali. Eccole qua.

JONATHAN
In senso orario: Indiana Jones, James Bond, Lupin III e John Steed.


JASMINE
In senso orario: Lady Oscar, Yasmeen Ghauri, Jun.


MYRIAM
Insenso orario: la regina Aleta, Angelica e Fujiko Mine.



lunedì 12 dicembre 2016

QUANDO L'ARTE DIVENTA UN LAVORO (OPPURE NO)

C'è una discussione, cui ho partecipato, in cui si è partiti dal citare le case editrici che permettono di campare facendo fumetti e si è arrivati a parlare del mercato in generale.

Bene, partiamo subito dall'assunto iniziale: se desiderate trasformare la vostra passione per i fumetti, sappiate che avete due strade di fronte. La prima è quella di riuscire a lavorare per case editrici che non solo pubblicano personaggi creati da altri autori, ma che paghino anche regolarmente e decentemente (se non bene) i loro collaboratori. In questo caso la scelta è molto limitata: Sergio Bonelli Editore, Disney/Panini e Astorina sono al momento le sole tre realtà cui potete rivolgervi. Sarà dura, molto dura, anche perché -per le ragioni prima elencate- questi editori vengono presi d'assalto da autori sia esordienti che navigati, ma non ci sono (altre?) alternative. Però, se siete dei disegnatori, le possibilità si allargano al mercato estero, reso più accessibile dalla moderna tecnologia.

La seconda strada è ancora più impervia e difficile da realizzare, se volete campare grazie ai fumetti, ma anche più ricca di soddisfazioni per quei pochi che ce la fanno: ed è quella di diventare un autore che riesca a piazzare i suoi progetti e, soprattutto, a farseli pagare! Perché è più difficile? Semplicemente perché se ultimamente gli editori che distribuiscono le loro pubblicazioni nelle fumetterie e librerie sono sorti come funghi, aumentando le opportunità di pubblicazione per gli autori di fumetti, è altrettanto vero che, a causa di basse tirature e ancor più basse vendite (oltre a una cronica mancanza di fondi iniziali), gli unici compensi che possono offrire sono royalties sulle (basse, appunto) vendite delle loro pubblicazioni. Le più professionali offrono almeno un anticipo e, se sanno promuovere efficacemente i loro volumi, riescono anche a far seguire un ritorno economico degno di questo nome. Non che ci si possa campare, comunque, soprattutto in relazione al tempo e all'impegno necessari per realizzare il suddetto volume.
Uno su mille diventa Leo Ortolani o Zerocalcare, ma per gli altri novecentonovantanove la sola altra soluzione è quella di avere un lavoro che provveda a mantenerli, costringendoli a realizzare i loro fumetti nei ritagli di tempo.

Esiste quindi una profonda differenza fra le due strade citate. Entrambe nascono dalla passione per il fumetto, ma la prima strada cerca di trasformarla in un lavoro vero e proprio, mentre la seconda è quella che potremmo definire più "artistica" (nell'accezione ottocentesca del termine) e meno professionale. Chi cerca di infondere vita ai propri progetti e di diffonderli, di comunicare attraverso di essi la propria visione del mondo, non può pretendere di trovarsi nella stessa posizione di chi si rivolge all'ufficio di collocamento. A meno che non sia riuscito a farsi un nome in grado di garantire vendite almeno ragionevoli, non potrà mai pretendere di trovare un editore disposto a investire su di lui cifre tali da consentirgli di vivere di soli fumetti. Soprattutto in questo momento. Esattamente come gli artisti di un tempo, dovrà entrare nell'ottica di affrontare un lungo cammino di crescita, sia artistica che -se possiede talento e quel tanto di fortuna che non guasta- di fama che magari riusciranno a fargli guadagnare cifre di tutto rispetto. Ma, ripeto, mettetevi in testa che il cammino è davvero duro.

Certo, oggi esistono mezzi come internet, i social network in generale o il crowdfunding che possono modificare e facilitare questo percorso. Sicuramente possono garantire molte soddisfazioni in fatto di notorietà, ma ricordatevi che i like su Facebook sono gratuiti, vi vengono concessi facilmente anche solo per simpatia. Ma non pensiate che a ogni like possa corrispondere un lettore pagante! Alla minima richiesta di soldi, i like si dileguano come neve nel Sahara!

Il vero problema della situazione che stiamo vivendo non è l'esistenza di queste due strade, che in fondo c'è sempre stata, ma lo squilibrio che si è venuto a creare negli ultimi dieci anni. Mentre, infatti, sono in costante aumento gli editori che pagano in royalties, è drammaticamente crollato il numero di quelli che producono pubblicazioni seriali e che quindi retribuiscono regolarmente i propri collaboratori. Molte di queste case editrici (per ragioni che non starò qui a prendere in esame) hanno chiuso i battenti o hanno ridotto all'osso la produzione e/o i compensi.
La conseguenza di questa riduzione dei "posti di lavoro" è sotto gli occhi di tutti: una maggiore difficoltà a trovare lavoro in questo campo, molti autori, anche affermati, che scelgono di lavorare per l'estero o per la Bonelli e una disponibilità a lavorare anche per tariffe sempre più basse pur di racimolare qualcosa.

E' anche vero che ci troviamo in un momento di cambiamenti: del mercato e dei lettori. Probabilmente, come sempre accade in questi casi, gli autori e gli editori che per primi riusciranno a intuire in quale direzione si sta spostando saranno anche quelli a godere dei benefici. Gli altri... Cercheranno di accodarsi e di sopravvivere.
Buona fortuna tutti noi!

giovedì 1 dicembre 2016

RINGRAZIAMENTI ANTICIPATI


Nel 2017 (a Settembre, per la precisione, visto che l'albo uscì in occasione della Comiconvention al Quark Hotel di Milano), Jonathan Steele compirà vent'anni tondi tondi.
Editorialmente parlando, la sua è stata un'avventura movimentata, con momenti fulgidi e momenti cupi, come si conviene a ogni avventura degna di questo nome. Ma nonostante gli anni e le ferite, Jonathan Steele è ancora qua (uscirà a brevissimo il nuovo volume, Jonathan Steele Blanc).
Per questo, già sin d'ora, voglio ringraziare tutti quanti hanno in qualche modo contribuito alle sue avventure.
Per Festeggiamenti e celebrazioni, invece, ne parleremo il prossimo anno.


Ecco qua di seguito un elenco completo degli autori di Jonathan Steele dal 1997 a oggi, in ordine di apparizione.

SCENEGGIATORI
Federico Memola, Stefano Vietti, Vincenzo Beretta, Elettra Gorni, Teresa Marzia, Francesco Matteuzzi, Francesco Donato, Francesca Da Sacco.

DISEGNATORI
Gianni Sedioli, Gino Vercelli, Tiziano Scanu, Teresa Marzia. Giacomo Pueroni, Rossano Rossi, Sergio Giardo, Stefano Martino, Antonio Amodio, Sergio Ponchione, Jacopo Brandi, Antonella Platano, Luca Raimondo, Andrea Bormida, Adriana Farina, Paolo Armitano, Riccardo Crosa, Vito Rallo, Ambra Colombani, Riccardo Bogani, Antonio Menin, Marco Guerrieri, Gianluca Cerritelli, Alessandro Scacchia, Gianluigi Gregorini, Ivan Zoni, Gigi Cavenago, Marco Checchetto, Alberto Ponticelli, Alessio Beccati, Gigi Baldassini, Mirco Bonini, Mirco Pierfederici, Cosimo Ferri, Manuela Soriani, Paolo Pantalena, Massimo Dall'Oglio, Marco Baiocco, Ivan Vitolo, Sergio Gerasi, Giuseppe Candita, Andrea Fattori, Michela Da Sacco, Alex Massacci, Valentina Romeo, Enza Fontana, Vincenzo Acunzo, Lucilla Stellato, Manuel Bracchi, Joachim Tilloca, Vanessa Belardo, Federica Manfredi, Christopher Possenti, Daniele Tomasi, Lorenzo Pastrovicchio, Alessandro Pastrovicchio, Luisa Russo, Marco Hasmann, Gianluca Maconi, Federico Vicentini.

COPERTINISTI

Stefano Martino, Giancarlo Olivares, Teresa Marzia, Mario Alberti, Oscar Celestini, Lorenzo Pastrovicchio, Stefano Caselli & Daniele Rudoni, Davide Gianfelice, Luca Rossi, Denis Medri, Elena Casagrande & Ilaria Traversi, Mirka Andolfo, David Messina, Federico Vicentini.


martedì 29 novembre 2016

DEMOLIZIONE DELL'AUTOSTIMA

Da ormai vari anni Giuseppina è una (libera) professionista nel suo campo: non solo è molto brava, ma si impegna a dare il massimo in ogni lavoro che fa. Non di rado si ritrova a lavorare anche agli orari più assurdi, fino a notte fonda, pur di conciliare la qualità con il rispetto delle scadenze. Il suo lavoro è anche molto apprezzato dai committenti, che la riempiono di complimenti. Purtroppo le loro finanze, la crisi che ha colpito duro, il momento d'incertezza, le pressioni dei fornitori, il brutto tempo, l'elezione di Trump alla Casa Bianca, il referendum, il cane che vuole fare la sua passeggiata e tanti altre legittime ragioni impediscono a questi committenti di pagare più di poche briciole.
Ma Giuseppina, come tutti ha le bollette e l'affitto da pagare, deve fare la spesa, e di meglio non si trova. Nonostante i complimenti, quelle volte che ha provato a chiedere un aumento le è stato risposto picche e quando ha preferito lasciar perdere perché le condizioni di lavoro e il compenso non ne valevano la pena, il committente di turno non ha avuto alcuna difficoltà a sostituirla con qualcuno che ha accettato quelle stesse condizioni o anche meno. facendo un lavoro peggiore, ma in fondo, chi se ne accorge, a parte gli operatori del settore?

Seppure demoralizzata, Giuseppina va avanti così per qualche anno. Ha anche pensato di mollare tutto, ma al di là della sua passione per questo lavoro, è anche il solo in cui abbia esperienza e non ha soldi da parte per potersi permettere di fermarsi a cercare altro. C'è sempre la speranza che prima o poi qualcuno arrivi con una proposta decente.

E infatti questo accade: un giorno un committente le propone, per il suo lavoro, più del doppio di quanto le abbiano offerto negli ultimi anni. Giuseppina è quasi commossa e con rinnovato entusiasmo si mette all'opera con ancora maggiore impegno. Se prima tirava le dieci di sera per mantenere il ritmo, ora arriva a oltre mezzanotte. Quasi impazzisce per conciliare una vita normale con il lavoro, ma è felice, perché finalmente qualcuno la sta pagando decentemente, addirittura più del doppio di quanto prendesse prima. E lei è pronta a dannarsi l'anima per essere all'altezza di questo compenso e per dimostrare, al committente e a se stessa, di meritarlo.

Quasi un lieto fine, quindi?
Non proprio. Perché, vedete, quello che Giuseppina percepisce per questo nuovo lavoro, pur essendo più di quanto prendesse finora, è comunque ancora al di sotto di quello che normalmente sarebbe un giusto compenso per la sua attività. Perché Giuseppina è ancora sottopagata, anche se meno di prima, soprattutto in relazione all'impegno che ci sta mettendo.

Il problema non è che Giuseppina sia stupida. Al contrario, Giuseppina è una donna intelligente, dotata e anche con una notevole esperienza alle spalle. Il problema è che se abitui la gente a sopravvivere con le briciole, il giorno in cui le darai un biscottino, si sentirà come se avesse ricevuto il tacchino ripieno e ti sarà persino grata. Perché la sua autostima sarà stata logorata e sgretolata a tal punto che un trattamento migliore verrà ritenuto addirittura equo, se non generoso. Ma per quanto un miglioramento possa essere giustamente apprezzato, se non porta veramente a condizioni di lavoro "normali", non può essere il punto di arrivo, non può convincere di non poter o dover pretendere di più. Anche perché, nel momento in cui si prenderà per buono che "poco" sia "giusto", il giorno in cui qualcuno offrirà nuovamente "quasi niente" non sembrerà un gran sacrificio accettare.

Si tratta di un meccanismo psicologico micidiale e nei periodi di crisi si diffonde a macchia d'olio, soprattutto fra chi svolge attività da libero professionista in settori non (ritenuti) essenziali.
A volte questo meccanismo può persino generare un'impressione di prosperità del mercato a causa dell'alto numero di produzioni esistenti unicamente grazie al lavoro sottopagato di centinaia di Giuseppine e Giuseppini.

lunedì 28 novembre 2016

COME SI SCRIVE UNA TAVOLA DI SCENEGGIATURA


Qualche tempo fa, forse all'interno di un corso che avevo tenuto (ma non ne sono certo), avevo creato questo foglio per mostrare come si scrive solitamente una tavola di sceneggiatura ("tavola" è il termine tecnico per "pagina"). Essendomi ricapitata sotto gli occhi mentre controllavo che cosa contenesse una delle tante "cartelle dimenticate" nel mio computer, ho pensato che potesse magari essere utile a qualcuno.
In realtà ogni sceneggiatore può poi adottare una propria impaginazione, quando scrive, ma questa, che ho appreso da Antonio Serra, a me è sembrata sempre la più funzionale. Consiglio di leggerla, oltre che guardarla, perché all'epoca ne approfittai per inserire nei testi un po' di consigli e indicazioni.
La gabbia qui presa in considerazione è quella tipica bonelliana a sei vignette.

martedì 22 novembre 2016

THE LOSER*

La vita è fatta di alti e bassi, il che è normale. Sono fasi che possono durare anche a lungo, magari anni, e quando si tratta dei bassi, la durata prolungata può essere molto logorante. Okay, nulla di originale, fin qua.
Il fatto è che nel momento in cui stiamo affrontando un lungo periodo di difficoltà e di problemi sul piano professionale, è facile cominciare a sentirsi dei falliti. E sapete allora che cosa succede? Che se ci sentiamo dei falliti, finiamo poi anche con il comportarci da falliti. E qual è la diretta conseguenza? Che comportarci da falliti porta chi ci circonda (e magari non ci conosce bene) a considerarci dei falliti. Ebbene, se ci sentiamo dei falliti, ci comportiamo da falliti e veniamo considerati dei falliti, finiamo con l'essere davvero dei falliti.
Allegro, eh?
No, non è per nulla allegro, ero ironico! Qual è, allora, la morale in tutto questo? Facile: ogni cambiamento parte sempre da noi, quindi cominciate col non sentirvi dei falliti! Lottate contro questa sensazione dettata il più delle volte da elementi esterni a voi e non abbandonatevi allo sconforto. Non esitate a cercare sostegno nelle persone a voi care e di cui vi potete fidare e vedrete che non ve lo negheranno. Se vi rendete conto che il vostro sconforto è ben più profondo e radicato, che le parole e la vicinanza di amici e parenti non vi è d'aiuto e che ogni tentativo di distrarvi, di tirarvi su e di scuotervi non serve a nulla, cominciate a prendere in considerazione l'ipotesi di aver bisogno di un supporto più qualificato o professionale.
L'importante è non trasformarvi nei vostri peggiori nemici e non avere paura di chiedere aiuto.
*In inglese "loser" significa perdente e in un paese che ha fatto del concetto di "vincitore" un vero e proprio mito, in cui vale la regola "non ci sono premi per i secondi arrivati", "loser" costituisce un insulto terribile, spietato e colmo di disprezzo. Fra i ragazzini è il peggiore epiteto che si possa immaginare.

giovedì 17 novembre 2016

QUANDO DISEGNARE "ALLA GIAPPONESE" ERA PROIBITO (NELLE SCUOLE DI FUMETTO)

Vedere oggi tanti disegnatori, cresciuti con cartoni animati e fumetti giapponesi, così influenzati da quello stile e raggiungere il successo grazie a fumetti o illustrazioni che sono il risultato di tale formazione non solo mi fa piacere per una questione di gusto, ma anche per ragioni molto personali: Teresa Marzia (mia moglie, lo dico subito) ha infatti compiuto quel percorso alla fine degli anni Ottanta, quando era molto più accidentato di oggi.

Se attualmente non c'è una sola scuola di fumetto che non proponga corsi di manga, fino ancora alla fine dello scorso millennio non era esattamente così. Quando frequentava la Scuola del Fumetto di Milano, Teresa si sentiva ripetere praticamente ogni santo giorno che doveva smetterla di disegnare “alla giapponese” (e immaginate quel "alla giapponese" pronunciato con un marcato disprezzo) per disegnare in stile realistico o comunque occidentale. Non che studiare disegno realistico le abbia nuociuto, tutt'altro, ma era proprio l'atteggiamento ostile nei confronti di qualunque dettaglio ricordasse anche solo lontanamente un cartone animato giapponese a essere pesante da reggere. Ogni santo giorno per tre anni.

Tavola dalla prima storia di Teresa, apparsa su Fumo di China n. 8 (1991).

All'epoca le scuole di fumetto, in Italia, si contavano sulle dita di una mano, Dylan Dog era appena "esploso" e stava diventando quel fenomeno di costume destinato a influenzare l'intero panorama fumettistico italiano, mentre le riviste che ospitavano i grandi autori godevano ancora di una discreta salute. Le edicole rappresentavano ancora i soli punti vendita per la maggior parte dei fumetti (esistevano già le prime fumetterie, ma in numero esiguo, inoltre erano quasi inesistenti le pubblicazioni dedicate esclusivamente a quel circuito), ma soprattutto l'invasione dei manga nel nostro paese doveva ancora iniziare e quasi nessuno (me compreso) aveva sentore dell'effetto dirompente che avrebbero avuto.

Questo per dire che, in quelle poche scuole cui accennavo prima, lo stile giapponese era fortemente osteggiato non solo per questioni di gusto degli insegnanti, ma anche perché ritenuto del tutto ininfluente sia sotto il profilo artistico che quello commerciale: se volevi avere la possibilità di essere preso in considerazione da un editore, anche il più scalcinato, dovevi disegnare o con lo stile realistico tradizionale oppure, partendo comunque dal disegno classico, sviluppare un tuo stile decisamente più "artistico" (poi decidete pure voi che cosa intendere con questa definizione!).
Ma ispirarsi o essere anche minimamente influenzati dai cartoni animati giapponesi era decisamente sconsigliato. Il mercato stava andando in una direzione (o, almeno, così sembrava) e scuole e case editrici seguivano il flusso.


I primi studi per Legs (1993)

Nonostante tutte le pressioni subite a scuola e la generale disapprovazione, Teresa riuscì a sviluppare un proprio stile mantenendo caparbiamente elementi derivati dai manga, soprattutto per quello che riguardava le caratterizzazioni dei personaggi.
Fu quindi con il suo stile che illustrò le storie su Fumo di China, con cui venticinque anni fa esordimmo entrambi nel mondo del fumetto, e quelle per l'Intrepido, dove la nuova gestione arruolò quasi in toto gli autori pubblicati sui primi numeri di FdC.

Quando però le giunse la proposta di realizzare le prove per Nathan Never, Antonio Serra, pur apprezzando i suoi disegni e ritenendola idonea per il primo numero della nuova testata dedicata a Legs Weaver, si trovò costretto a chiederle di essere un po' più realistica e, a tale scopo, la fece inoltre inchiostrare da Gianmauro Cozzi. La Bonelli, infatti, richiedeva uno stile più tradizionale e per quanto in testate come Nathan Never, Legs, Zona X (e, in seguito, anche Jonathan Steele) venisse concessa una libertà maggiore di "sperimentazione", comunque non si potevano superare certi limiti.

Il risultato di quella collaborazione fu sicuramente il più orientaleggiante mai visto fino a quel momento in Bonelli, ma comunque un'occidentalizzazione di quello che era lo stile di Teresa. Che, fra l'altro, in quel momento era una delle poche disegnatrici della Bonelli (praticamente, oltre a lei, si potevano contare solo Lina Buffolente, Lucia Arduini, Laura Zuccheri e Luana Paesani): fu proprio Legs ad aprire le porte di via Buonarroti a uno stuolo di ragazze di talento.


Tavola dal numero 1 di Legs (1995).

Un ulteriore passo in avanti fu possibile quando Teresa cominciò a disegnare per Jonathan Steele, serie di cui era anche la creatrice grafica. Sebbene si trattasse ancora di una testata bonelliana, nel frattempo, e proprio grazie a Legs e alle sue disegnatrici, i paletti si erano leggermente allargati rispetto a quattro anni prima e Teresa ebbe la possibilità di utilizzare uno stile decisamente più vicino al suo. Intanto l'invasione di manga nel nostro paese era iniziata e anche il mondo del fumetto italiano stava cambiando, così le (ormai numerose) scuole di fumetto si stavano arrendendo all'orda di aspiranti disegnatori e disegnatrici che pretendevano, giustamente, di esprimersi con stili a loro consoni.
Così, seguendo il detto “se non puoi batterli, unisciti a loro”, nelle scuole iniziarono i primi corsi di manga.

Tavola da Jonathan Steele n. 54, con le chine di Jacopo Brandi (2003).

Tutto è avvenuto abbastanza velocemente, alla fine, tuttavia oggi è difficile pensare a quante difficoltà si potessero incontrare all'epoca se si voleva disegnare con uno stile giapponese: manga e cartoni animati nippi hanno ormai influenzato migliaia di artisti in tutto il mondo e persino in Bonelli è possibile ammirare opere straordinarie come l'Agenzia Alfa di Massimo Dall'Oglio. Fortunatamente!

Illustrazione di Agenzia Incantesimi del 2016.











mercoledì 26 ottobre 2016

DUE CHIACCHIERE CON... GIANNI SEDIOLI

AGENZIA INCANTESIMI RELOADED: DUE CHIACCHIERE CON... GIANNI SEDIOLI:  Gianni Sedioli, un uomo che ha coronato il suo sogno: disegnare Zagor. E a che cosa si può aspirare dopo aver realizzato un sogno...

DUE CHIACCHIERE CON... MARCO CHECCHETTO

AGENZIA INCANTESIMI RELOADED: DUE CHIACCHIERE CON... MARCO CHECCHETTO: Ciao, Marco. Vorrei iniziare con un tuo parer sul rapporto fra videogiochi e fumetto, visto che tu hai collaborato,come illustratore, a...

DUE CHIACCHIERE CON... COSIMO FERRI

AGENZIA INCANTESIMI RELOADED: DUE CHIACCHIERE CON... COSIMO FERRI: Ciao, Cosimo. Per prima cosa, ora che lavori per la Francia, hai nostalgia del mercato italiano? Ciao a tutti! Bella domanda. E' di...

DUE CHIACCHIERE CON... SERGIO PONCHIONE

AGENZIA INCANTESIMI RELOADED: DUE CHIACCHIERE CON... SERGIO PONCHIONE: Ciao, Sergio. E così, dopo aver cominciato a lavorare in Bonelli, essere passato per Star Comics, Coconino, Rizzoli ed essere sbarcato ...

DUE CHIACCHIERE CON... RICCARDO CROSA

AGENZIA INCANTESIMI RELOADED: DUE CHIACCHIERE CON... RICCARDO CROSA: Per rompere l'attesa fra una storia e l'altra, vi propongo, con cadenza rigorosamente irregolare, due chiacchiere con i vari au...

martedì 18 ottobre 2016

IL NUOVO MARTIN MYSTÈRE



C'era una volta Capitan Harlock, il celebre pirata dello spazio. Chiunque sia stato bambino o ragazzino alla fine degli anni Settanta lo conosce, almeno per sentito dire: all'epoca era secondo solo a Goldrake per popolarità, nell'ambito dei personaggi televisivi.
Capitan Harlock aveva la sua serie, in cui combatteva contro le mazoniane in compagnia del suo equipaggio e della sua nave. E fin qui nulla di strano.
Poi però, uno o due anni dopo, approdò sui nostri teleschermi un'altra serie creata dallo stesso autore, Leiji Matsumoto: il Galaxy Express 999. Lo stile era inconfondibile, anche se la trama appariva del tutto differente: in un'universo ricco di alieni e pianeti colonizzati, un ragazzino attraversava l'intera galassia per ottenere un corpo meccanico. Non si trattava certo della stessa ambientazione di Harlock, poteva al massimo costituirne un lontano futuro. Così, quando in una puntata apparvero il pirata dello spazio e la sua astronave, noi spettatori di allora fummo colti di sorpresa. Però a quei tempi non c'erano internet e Facebook per intavolare migliaia di discussioni su che cosa diavolo ci facesse Harlock in quell'universo, così come eravamo meno critici in fatto di incongruenze, quindi la cosa finì lì. In fondo, persino nel granitico Tex erano presenti contraddizioni che non creavano alcun problema ai lettori: in un albo appaiono le prime automobili, in un altro Tex racconta al figlio una propria avventura di gioventù svoltasi durante la Guerra Civile, in un altro ancora Tex e il figlio partecipano alla suddetta Guerra Civile... Per tacere delle storie Disney, dove il passato e persino il carattere dei personaggi mutava da storia a storia, a seconda degli autori. Potremmo dire che ci si faceva meno problemi, in fondo.

Nei decenni seguenti, chi crescendo continuò a seguire cartoni animati e fumetti giapponesi, ebbe poi modo di verificare come, per gli autori nipponici fosse normale, ogni tanto, rinnovare i propri personaggi, magari per farli conoscere a quelle nuove generazioni che li avevano solo sentiti nominare, oppure per il gusto di rinnovarli.
Esistono quindi diverse versioni di Capitan Harlock, di Mazinga, di Cyborg 009, ma anche di personaggi più recenti come Sailor Moon e Saint Seya (I Cavalieri dello Zodiaco) e altri ancora. Per la mia generazione, cresciuta con questi personaggi, è quindi abbastanza normale. E l'affetto per le versioni originali non ci impedisce di apprezzare quelle seguenti, se ben fatte.

Capitan Harlock. L'originale e la sua più recente versione.
Questa abitudine ha sicuramente avuto una forte influenza anche su di me. La mia prima serie in assoluto, "Moon Police Dpt.", apparsa su Fumo di China, è diventata anni dopo "Legione Stellare" su Zona X. E anche la serie Agenzia Incantesimi, attualmente pubblicata su Tapastic, si è distaccata (qui più per necessità che per scelta) dalla serie madre Jonathan Steele, in modo da poter essere tranquillamente letta anche da chi non ha mai sfogliato un albo di Jonathan.

Moon Police Dpt vs Legione Stellare.
Ecco perché, all'annuncio di una nuova versione (a colori) di Martin Mystère che avrebbe presentato sostanziali cambiamenti rispetto alla serie "tradizionale", non mi sono sorpreso più di tanto. E sicuramente non mi sono scandalizzato.
Al contrario di molti lettori del Detective dell'Impossibile.

Ho infatti notato come sia all'annuncio che l'apparizione delle prime anteprime abbiano suscitato perplessità e critiche, scaturite quasi da un senso di "tradimento" provato dai lettori di vecchia data. Da quel che ho letto, infatti, credo che queste lamentele siano più o meno riassumibili nella frase "perché la serie a colori deve privilegiare un pubblico nuovo invece di premiare quello affezionato che vuole il 'vero' Martin Mystère e non una copia?"

Okay, dando per scontato che raggiungere un nuovo pubblico sia vitale per una testata che intenda sopravvivere in edicola, perché per Martin non si è optato per un'operazione analoga a quella messa in atto da Boselli per Zagor un po' di anni fa? In quell'occasione, per chi non lo sapesse, gli autori aprirono un nuovo ciclo di storie sulla testata regolare, mantenendo però tutte le caratteristiche e la continuity della serie. Preferirono quindi intervenire sul respiro, sulle tematiche e sulla qualità delle storie, piuttosto che scardinare la serie. Ma in quel caso era possibile anche perché Zagor, pur essendo editorialmente più anziano, è però un personaggio giovane, senza tempo (come Tex).
Dove per "senza tempo" non s'intende collocato al di fuori di un'epoca storica (sebbene, nel caso di Zagor, sarebbe difficile stabilirla|!), quanto non soggetto al normale trascorrere degli anni. Zagor, Tex, Mister No, Tintin, l'Uomo Ragno, Superman, Flash Gordon e la maggior parte degli eroi dei fumetti sono personaggi per i quali gli anni non trascorrono, cristallizzati in un'epoca che persiste sempre identica da centinaia di albi o che si evolve attorno a loro senza influire sulle loro cellule. E' la magia dei fumetti, no?

Martin Mystère, al contrario, è un personaggio profondamente calato nell'attualità e nel mondo in cui viviamo e dalla sua nascita, sia "biologica" che editoriale, è inesorabilmente invecchiato. Pensare di riuscire a far presa su di un nuovo pubblico o di scrivere storie più dinamiche e avventurose con un personaggio dell'età di Martin sarebbe assurdo quanto pensare di girare un nuovo film di Indiana Jones con Harrison Ford.
E in fondo, sia su Zona X che sugli almanacchi, di versioni alternative del nostro Detective dell'Impossibile ne sono già apparse, ricordate?
Ecco quindi che, un po' per divertimento, un po' per dare una rinfrescata a un personaggio con più di trent'anni di avventure alle spalle, nasce la nuova versione di Martin Mystère. Più fedele alla vecchia serie e, soprattutto, al personaggio originale rispetto alla versione animata di qualche anno fa, ma sufficientemente differente per poter essere fruita anche da chi non abbia mai letto la serie del 1982. Il mio consiglio per tutti i vecchi lettori è perciò quello di recuperare lo spirito di un tempo, magari di riportare alla mente il momento in cui hanno aperto per la prima volta un albo di Martin Mystère, e di godersi serenamente con quello stesso spirito le nuove avventure e soprattutto le potenzialità che questa terza giovinezza di Martin comporta.
Anche perché, sebbene a mio giudizio la serie avrebbe dovuto distaccarsi maggiormente, per grafica e impaginazione, da un normale albo di Martin Mystère, il lavoro è davvero buono e l'albo molto godibile (ebbene sì, l'ho già letto!). Quindi i miei complimenti a tutti gli autori!
Anche se mi ha fatto un po' ridere trovare un personaggio di nome Max in un ruolo analogo a quello di Max in Jonathan Steele!



venerdì 14 ottobre 2016

DIFFERENZIARE I PERSONAGGI

Non me ne vogliano i disegnatori, se oggi "sparlo" un po' di loro, per compensare, la prossima volta parlerò male di noi sceneggiatori! Che siamo un bersaglio facile, tanto!

Sta di fatto che,per quanto bravo, ogni disegnatore segue un po' automaticamente, a volte senza nemmeno rendersene conto, dei modelli di anatomie ben definiti, sia per quanto riguarda gli uomini, ma soprattutto per le figure femminili. Il risultato è che, facilmente, i personaggi finiscono per assomigliarsi fra loro. Non tanto nei visi, quanto nelle anatomie. Succede anche ai più grandi, sia chiaro. Il bravissimo e apprezzatissimo Frank Cho, che piace molto anche a me, disegna donne fantastiche... O meglio, disegna una donna fantastica, sempre la stessa. Cambia il colore dei capelli e, qualche volta, la pettinatura, ma per il resto tutti i suoi personaggi femminili potrebbero essere il frutto di parto plurigemellare.
Ribadisco: questo non è dovuto a una reale incapacità di disegnare anatomie differenti, dato che quasi tutti i disegnatori sono perfettamente in grado di farlo. Ma quando si lavora quotidianamente al tavolo da disegno, soprattutto a ritmi un po' sostenuti, è molto facile cedere agli automatismi senza nemmeno rendersene conto. Per gli sceneggiatori è un po' l'equivalente di ricorrere spesso agli stessi espedienti narrativi.

Quattro delle tante sorelle Cho.
Infarcendo le mie storie di personaggi femminili e avendo avuto a che fare con staff composti da diversi disegnatori, so bene di che cosa parlo. Nonostante cercassi di descrivere anche i diversi tipi fisici di personaggi, due erano essenzialmente i problemi: la tendenza a deviare dal modello originario per aderire al proprio e applicare il proprio modello un po' a tutti i personaggi.

Poiché questo,come ho detto, avviene in maniera più marcata con i personaggi di sesso femminile, sia all'epoca de "La Stirpe di Elan" su Zona X che successivamente con Jonathan Steele e Agenzia Incantesimi, Teresa disegnò uno schemino che fosse d'aiuto ai disegnatori per ovviare a questo problema. L'idea l'abbiamo biecamente "rubata" agli studi per i personaggi delle varie serie di cartoni animati giapponesi che avevamo trovato sulle riviste d'animazione o sui libri d'importazione.
E devo dire è stato d'aiuto.
Può quindi essere d'aiuto, per chi disegna, ogni tanto fermarsi ed esercitarsi a differenziare le proprie tipologie di personaggi. Anche copiando figure dal vero. Più per non rischiare di cadere negli automatismi, che per una effettiva incapacità.


UN DECENNALE


Dieci anni fa incappai per caso nel fumetto di un autore che non avevo mai sentito nominare, tale Joachim Tilloca. Gli scrissi per fargli i miei complimenti e lui rispose.
In tutti questi anni ho continuato a scrivergli, non solo mail, ma anche pagine di sceneggiatura. E lui ha continuato a rispondermi, nella maggior parte dei casi con le sue tavole.
E ancora non siamo riusciti a incontrarci di persona!

giovedì 13 ottobre 2016

LAVORI SOTTOVALUTATI

Scrivere, in Italia, è uno dei mestieri più sottovalutati. Nessuno ragiona mai sul fatto che, anche dietro cinque righe può esserci tutto un lavoro di riflessione e di elaborazione.
Rimaniamo nel nostro campo, quello del fumetto. Ho sentito spesso accuse di "sfruttamento" per aver magari chiesto a un disegnatore una (breve) storia gratis, io stesso ne ho ricevute, in passato, per il progetto di Agenzia Incantesimi. A volte questa indignazione è legittima, soprattutto se qualcuno guadagna dei soldi grazie al lavoro altrui, in altre occasioni no, ma non è questo il punto.
Il punto è che a fronte di questa ragionevole alzata di scudi di fronte a certe richieste, viene invece considerato normale che quasi tutti gli articoli di critica di fumetto siano realizzati senza percepire un solo centesimo, come se scrivere un articolo (recensione, intervista o approfondimento che sia) non fosse un lavoro, non meritasse un legittimo compenso, che consentirebbe anche di pretendere dall'autore del pezzo una qualità minima, sia di forma che di contenuti.
E anche chiedere a uno sceneggiatore una storia gratis non suscita altrettanto scalpore o indignazione. Forse perché un disegno appare più tangibile e dà l'idea di richiedere molto più lavoro rispetto a un testo scritto. Che è vero, ma non del tutto vero.
Perché in effetti un disegnatore, uno veloce, impiega mezza giornata a completare una tavola (più facilmente una giornata intera) mentre una pagina di sceneggiatura la si può scrivere anche in dieci minuti, quando va bene. Sì, certo, peccato solo che fissare le parole su carta sia solo l'ultima fase del lavoro, il risultato di -a seconda dei momenti- qualche ora o anche qualche giorno di rimuginamenti, riflessioni, ripensamenti e ricerche (se si vuol far bene il proprio lavoro, s'intende!).Già, perché scrivere è una diretta espressione del pensiero, e pensare è un'attività ancora più sottovalutata!

martedì 11 ottobre 2016

LUCCA COMICS & GAMES 2016



Inutile girarci intorno o fare lunghi preamboli: le lamentele di molti fumettisti a proposito del trattamento che la più importante manifestazione dedicata (anche) ai fumetti pare riservare loro (a proposito degli accrediti e del caffè degli artisti) stanno aumentando man mano che la fiera si avvicina.
Ma il problema non è tanto lo spazio che Lucca riserva alle altre forme di intrattenimento: allargare la sfera d'interesse della manifestazione è naturale e già molte altre fiere nel mondo riservano ampi settori a questi mezzi di comunicazione. Che attirano un vasto pubblico (pagante, non dimentichiamolo), con potenzialità di interscambio e di reciproco profitto da parte di tutti, anche del fumetto.
E il problema non è nemmeno la scarsa considerazione che l'ente fieristico sembra avere per i fumettisti. O meglio, è sì un problema, ci mancherebbe, ma risolvibile. Comunicando.
Ed eccolo, quindi, il vero problema di questa fiera e di chi vi partecipa o la organizza: la mancanza di comunicazione.
Perché quello che sembra a me è che ci sia una cronica incapacità da un lato (la fiera) di prestare ascolto a chi è alla base della creazione di tanti personaggi e volumi. Peccato veniale, se sei la Fiera della Caciotta che ospita un banchetto di fumettisti il cui scopo è quello di fare ritratti ai visitatori, ma un po' più grave se ti vanti di essere la più blasonata fiera di fumetti d'Italia.
Dall'altro (i fumettisti) dietro a tante lamentele si cela un'incapacità cronica di riuscire a far concretamente sentire la propria voce, di apparire qualcosa di più di uno sparuto gruppo di ragazzotti che poi, a dispetto di tante chiacchiere, in fiera ci andranno lo stesso, quanto meno con le case editrici per cui lavorano, per cessare ogni "ostilità" fino all'imminenza della prossima edizione. In fondo si sa, a noi Italiani piace tanto lamentarci, ma poi ci adeguiamo buoni buoni alla situazione. Lo facciamo con i nostri governi, figuriamoci con una semplice fiera di giornaletti!

Ecco, queste rispettive incapacità croniche mi sembrano il vero problema.
Ora, lungi da me l'idea di evocare sindacati e associazioni, ma un senso di unità della categoria, una certa solidarietà fra autori che superasse, almeno per sostenere il bene comune, rivalità e antipatie personali, non sarebbe male. E un organo o un comitato o qualcuno all'interno dell'organizzazione di Lucca Comics & Games preposto a comunicare con editori e autori non solo per vendere loro degli stand o dei banchetti, ma per collaborare, per creare una sinergia che al tempo stesso riuscisse a dare soddisfazione ai fumettisti e lustro alla fiera sarebbe quanto meno auspicabile.
Altrimenti il mio sincero e non polemico suggerimento all'organizzazione è quello di cambiare il nome della manifestazione in un più generico Festival dell'Intrattenimento di Lucca e abbandonare ogni pretesa di evento culturale specificatamente dedicato ai fumetti.
Quanto meno ci risparmieremmo ogni anni un bel carico di polemiche!

lunedì 10 ottobre 2016

GIOIE E DOLORI DELL'AUTOPRODUZIONE


C'è stato un periodo, la cui fine è coincisa con quella dello scorso millennio, in cui il fumettista che si dedicava all'autoproduzione era inevitabilmente identificato come un autore alle prime armi, in attesa di essere “scoperto” da qualche editore che gli avrebbe consentito il salto di qualità all'interno della schiera dei professionisti regolarmente retribuiti. Anche Leo Ortolani, la più eclatante di queste eroiche figure, ha seguito questo percorso, costituendo per molto tempo un vero e proprio modello per centinaia di altri giovani artisti.
Ma quella era un'altra epoca: quella dei pessimi ciclostilati, dei costi di stampa proibitivi e della difficoltà di diffusione.


Negli ultimi anni, grazie a internet e all'abbattimento dei costi di stampa, la situazione è radicalmente mutata. Oggi la rete consente di divulgare i frutti del proprio lavoro raggiungendo, potenzialmente, un vastissimo pubblico. E nel caso si opti invece per la cara, vecchia carta, le moderne tecniche di stampa non solo consentono di stampare a basso costo svariate centinaia (o anche migliaia) di copie, ma la qualità di queste pubblicazioni è ormai pari a quella dei cataloghi d'arte.
In breve, la differenza non la fanno più (tanto) i soldi a disposizione, quanto il talento e le competenze degli autori.
Questa evoluzione tecnologica ha di conseguenza mutato anche la concezione del fumettista “indipendente”, non più solamente un aspirante professionista, ma sempre più spesso un imprenditore di se stesso. Questi autori non sono più così ansiosi di rinunciare ai propri progetti per lavorare sotto vari editori (che, al contempo, sono sempre meno in grado di corrispondere un compenso degno di questo nome), ma hanno trasformato l'autoproduzione da passaggio quasi obbligato a scelta professionale, in grado di ripagarli con soddisfazioni e, perché no? Anche soldi!
Il che non vieta loro di concedere ad alcuni editori la possibilità di stampare in volume le loro opere, beneficiando così di una migliore distribuzione nelle fumetterie e di una coperture delle spese per la stampa e per la presenza nelle varie fiere, ma senza interrompere la loro attività di indipendenti.


Qualche nome? Ormai non c'è che l'imbarazzo della scelta. Luigi "Bigio" Cecchi (Drizzit), Manu Tonini (Deficients & Dragons), Mirka Andolfo (Sacro/Profano, ma Mirka è ormai lanciatissima anche come disegnatrice in America), Zerocalcare, Giulia Adragna (MissHall), Liana Recchione (Risenfall), Lorenzo Ghetti (To be continued), Tiziana De Piero (FidanzatoVampiro), Elisa Pocetta (Hi/Lo), Claudio Avella (Demon's Daughter), Cristiana leone (Sunken), Riccardo LoGiudice (PoseYdon), Lorenzo Maglianesi (The Quest) e tanti, tanti, davvero tanti altri autori di fumetti che stanno affollando la rete, le fiere e le librerie con una vitalità che spesso manca nelle pubblicazioni “tradizionali”.


Persino alcuni affermati autori stanno cominciando ad affiancare all'attività più strettamente professionale incursioni nell'autoproduzione per poter pubblicare i propri fumetti liberi da qualunque vincolo. Oltre al sottoscritto, con Agenzia Incantesimi, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Manuela Soriani e il collettivo AWE (Samsara), Francesca Da Sacco (Monsters), Emanuele Tenderini (Lumina). Un numero ancora ristretto, per ovvie ragioni: un autore già affermato non solo incontra meno difficoltà a trovare un editore (che lo paghi) per i suoi progetti, ma tende anche a essere più diffidente verso un “sistema” nuovo, nato e sviluppatosi quando lui aveva ormai seguito un altro percorso di formazione.


Ma qui termina il discorso elegiaco ed entusiasta. Perché il titolo di questo "pezzo" cita gioie e dolori e finora si è parlato solamente delle gioie. Ora, purtroppo, è il momento dei dolori!

Partiamo da quelli "tecnici": la contropartita della libertà è il lavoro. Molto lavoro. Più di quanto si possa immaginare. Perché scrivere e disegnare il fumetto è solo una parte dell'impegno necessario. Se si desidera che qualcuno legga il frutto delle proprie fatiche (a parte amici e parenti!), occorre pubblicizzarlo, farlo conoscere. E in quel vasto oceano che è internet, pubblicare su Facebook un annuncio o creare una pagina non è sufficiente. Dieci secondi dopo il vostro post sarà stato sommerso da un centinaio di altri post e sarà già sparito. Il lavoro di marketing è fondamentale e occorre saperlo fare bene: fidatevi dell'esperienza di uno che è abbastanza negato in questo campo! Non bisogna, come il sottoscritto, temere di rompere le scatole ai propri contatti, ma “martellare” quotidianamente con immagini, vignette, notizie, annunci o semplici commenti. Creare tormentoni, “meme”, tenere costantemente desta l'attenzione verso il proprio fumetto, invogliare la gente a controllare la vostra pagina per vedere se ci sono novità. Su tutti i principali social network. E' davvero un secondo lavoro che porterà via tempo ed energie, ma è necessario. Se il fumetto è valido e riesce a intercettare un certo pubblico, dopo un po' (un annetto o due) si verrà a creare un circolo virtuoso che compenserà gli sforzi, ma non per questo ci si potrà rilassare: senza essere martellanti come nella fase iniziale, l'opera di promozione dovrà comunque proseguire perché la “magia” non si esaurisca.


Ma quello della promozione non è il solo problema che deve affrontare chi si dedica all'autoproduzione. Ce n'è un secondo, ben più importante, di cui però in molti non si rendono nemmeno conto: la crescita artistica e professionale.
Dedicarsi all'autoproduzione, infatti, significa confrontarsi unicamente con due entità: se stessi e il pubblico. E nessuno dei due rappresenta un critico oggettivo.
Il pubblico, infatti, generalmente o apprezza il fumetto e lo segue, magari anche commentando, ma limitandosi a esprimere il proprio apprezzamento, oppure non lo apprezza e semplicemente non lo segue, senza stare a indicare le ragioni del suo disappunto. D'altro canto, un autore difficilmente riesce a individuare da solo i propri limiti.



Piccolo inciso:
Quando scriviamo o disegniamo, la nostra mente segue dei "percorsi" che si sono creati e consolidati col tempo. Strade sicure e conosciute che ci semplificano il lavoro e soprattutto ci evitano di affrontare gli ostacoli, preferendo aggirarli. Si tratta di un meccanismo inconscio, di cui siamo ben poco consapevoli, ma che ci porta a scavare sempre di più il solco di questi percorsi, e più passa il tempo, più sarà difficile uscirne. Finiamo così per evitare puntualmente di disegnare certe situazioni, per sbagliare sempre la stessa prospettiva o lo stesso scorcio del braccio, oppure per incanalarci sempre negli stessi schemi narrativi. Senza rendercene conto. Con la conseguenza che non affrontiamo mai ostacoli e difficoltà, non superiamo i nostri limiti e finiamo così con il rallentare la nostra crescita artistica, commettendo sempre gli stessi errori o limitando le nostre potenzialità.
Solo una cosa può darci una scossa e farci deviare da questi percorsi abituali, obbligandoci ad affrontare i nostri limiti: una voce esterna.
Nell'editoria, questa voce appartiene solitamente a un editor o all'editore stesso, ma può essere anche molto utile il (sincero e impietoso) parere di altri colleghi. E' la ragione per cui io cerco sempre di far leggere tutto quel che scrivo a qualcuno per una seconda opinione.
Fine dell'inciso.


L'autore indipendente raramente avrà a che fare con un editor. Il che può essere un male minore quando si tratti di un autore di esperienza, che quindi ha già affrontato questa fase, ma è sicuramente un grosso problema per il giovane talento, che si trova nel pieno della sua formazione artistica. Attenzione: questo non significa in assoluto che non sarà capace di migliorare e di ragionare sul proprio lavoro, ma questa crescita solitaria sarà più lenta e difficoltosa.


E veniamo infine all'ultimo inconveniente dell'autoproduzione, che però non dipende dagli autori o dai loro fumetti, perché si tratta di puro e semplice pregiudizio.
Come ho detto all'inizio, fino ad alcuni anni fa l'autoproduzione era sinonimo di dilettantismo e chi la portava avanti era considerato (all'epoca giustamente, va detto) un aspirante "professionista". Il problema è che le cose cambiano più rapidamente delle mentalità. E quanto più rapidi sono i mutamenti, tanto più chi era abituato a una situazione precedente fa fatica ad adeguarsi. Così può capitare che molti fumettisti di una certa età ancora oggi guardino con un briciolo di supponenza o di compatimento chi si dedica all'autoproduzione e non si affida a un editore. Per paradossale che possa apparire, essere pubblicati dal più scalcinato, cialtrone e magari truffaldino degli editori, agli occhi di queste persone, è comunque più gratificante e professionale che autoprodursi o pubblicare su internet.
Intendiamoci, per fortuna non sono in molti a pensarla così, però può capitare di imbattersi in qualcuno che, magari senza nemmeno volerlo, sferri un diretto alla vostra autostima facendovi sentire "autori di serie B". Quindi siate consapevoli che non è così e non fatevi influenzare da eventuali simili atteggiamenti.
La fiducia in se stessi (fondamentale!) è come l'acqua per le piante: mai poca e mai troppa!


Alla fine di tutto questo discorso non ci starebbe male un capitolo sul crowdfunding, ma di quello, magari, ne parlerò un'altra volta!


Ah, quasi dimenticavo: ad eccezione dell'ultima, tutte le immagini presenti in questo articolo sono state distribuite nel testo con un ordine puramente causale!




venerdì 7 ottobre 2016

IL CLUB DEL MARKETING


L'evoluzione insegna che bisogna sapersi adattare per sopravvivere. Vale anche nel lavoro, soprattutto in campo artistico (e quello dei fumetti lo è, nonostante in tanti lo neghino!). Se è vero che sarà la Storia a determinare che cosa rimarrà e che cosa verrà dimenticato, che cosa sarà considerato davvero un capolavoro fra trenta, quaranta o cento anni, è altrettanto vero che chi lavora in questo campo oggi deve darsi da fare per sopravvivere e raggiungere il più vasto pubblico possibile.
Se siete bravi a promuovere le vostre opere, se disponete già di un vasto pubblico e ogni volta che pubblicate una vignetta una massa di groupie urlanti alza i cartelli con le lettere che formano la parola "capolavoro", vuol dire che avete fatto un ottimo lavoro a livello di marketing.

Se invece, come il sottoscritto, in fatto di promozione e marketing siete quelli che una volta venivano definiti "delle schiappe", allora la vita si fa decisamente dura! Poiché sono uno di quei sostenitori della teoria secondo cui "l'unione fa la forza", il mio consiglio è quello di mettere in piedi un vero e proprio club del marketing. Ovvero, mettetevi d'accordo con altri autori che si trovano più o meno nelle vostre stesse condizioni e sostenetevi a vicenda, rimbalzando sulle vostre pagine Facebook i relativi annunci e immagini. Non abbiate paura di rubarvi i lettori a vicenda, se a qualcuno piace il vostro fumetto non rinuncerà a leggerlo per seguirne un altro, visto che è tutto gratuito. In compenso scoprire altri titoli interessanti attraverso di voi lo stimolerà a tenere costantemente d'occhio la vostra pagina.